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Si è occupata la Corte di Cassazione in questa recentissima sentenza di un tema molto ricorrente e discusso nelle aule giudiziarie e che sempre più spesso viene utilizzato in questi ultimi tempi a difesa dei garanti della sicurezza rimasti coinvolti in procedimenti penali avviati a seguito di eventi infortunistici accaduti nei luoghi di lavoro e cioè dell’interruzione o meno del nesso causale fra le omissioni di misure antinfortunistiche poste in essere e fra le violazioni di norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e gli eventi lesivi medesimi.
Quasi sempre la suprema Corte, nel ribadire le decisioni prese nei primi gradi di giudizio e nel confermare le espressioni di condanna emesse a carico degli imputati, ha individuata l’assenza di una abnormità, di una anomalia, di una eccezionalità o di una imprevedibilità nel comportamento del lavoratore rimasto vittima di un infortunio e di una condotta comunque tale da interrompere il nesso di causalità specie se il garante della sicurezza non ha provveduto a gestire correttamente il rischio che ha portato all’evento lesivo. In questa occasione, invece, la stessa Corte suprema, davanti a un caso in cui è stato il lavoratore che ha omesso volontariamente di adottare le protezioni messe a disposizione del datore di lavoro e in cui quest’ultimo ha provveduto a fare tutto quanto era tenuto ad adottare, ha riconosciuto una evidente colpa del lavoratore e ha pertanto annullata la condanna dell’imputato già inflitta nei primi gradi di giudizio
In assenza di una regola cautelare violata che possa ricollegarsi a un evento infortunistico, ha infatti affermato la suprema Corte, e se è stato accertato che il lavoratore sia stato dotato dal datore di lavoro dei necessari presidi di sicurezza e sia stato formato e informato in maniera adeguata, non si può addebitare al datore di lavoro la responsabilità e la colpa per quanto accadutogli. La titolarità di una posizione di garanzia, ha infatti aggiunto la Cassazione, non comporta, in presenza del verificarsi di un evento infortunistico, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione da parte del garante di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (la cosiddetta concretizzazione del rischio) e sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha confermata la pronuncia con la quale il Tribunale, ritenuto il datore di lavoro di una ditta subappaltatrice responsabile del reato di cui agli artt. 40 e 590 del codice penale aggravato dalla violazione della disciplina antinfortunistica sui luoghi di lavoro, lo aveva condannato alla pena di dieci mesi di reclusione e al risarcimento del danno alla parte civile, da liquidarsi in altra sede, e aveva disposto in favore della stessa una provvisionale di 150.000 euro. Nel caso in esame un’impresa aveva preso in subappalto dei lavori di installazione di un impianto fotovoltaico da sistemare sulla copertura di un capannone. Nel corso dei lavori un lavoratore dipendente di tale impresa subappaltatrice aveva poggiato erroneamente il piede su un cupolino ondulato, non calpestabile, che si era rotto sotto il peso del lavoratore provocando la sua caduta da un’altezza di 7 metri. Dall’infortunio erano derivate al lavoratore gravi conseguenze traumatiche, comportanti un’invalidità permanente valutata dall’INAIL in ragione del 40%.
All’imputato era stata ascritta, in particolare, la colpa generica e quella specifica per la violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto, il lavoratore era caduto mentre fissava alcuni supporti metallici dei pannelli fotovoltaici in assenza di un valido dispositivo collettivo di protezione anticaduta posizionato sul tetto del capannone e di un idoneo e sicuro sistema di ancoraggio (linee vita) per i DPI (imbracature) indossati dai lavoratori presenti sul tetto.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza della Corte di Appello l’imputato ha ricorso alla Cassazione, a mezzo del proprio difensore, avanzando alcuni motivi. Come principale motivazione il ricorrente ha messo in evidenza che un coimputato nell’ambito dello stesso procedimento, all’esito di un giudizio abbreviato, era stato assolto per insussistenza del fatto e che nel provvedimento di assoluzione il Tribunale aveva affermato che la condotta del lavoratore, nello svincolare l’ancoraggio dell’imbracatura ai sistema di trattenuta, era risultata del tutto anomala, imprevedibile, eccezionale ed abnorme. Il lavoratore infortunato inoltre aveva reso nel dibattimento dichiarazioni contraddittorie al fine di giustificare l’unico dato certo che era emerso sia in fase di indagini che durante l’istruttoria dibattimentale, e cioè il fatto che si era volontariamente sganciato dal presidio anticaduta. Nel dibattimento era emerso altresì che sulla copertura del capannone erano state installate delle funi di ancoraggio alle quali collegare regolarmente i dispositivi di protezione individuale e che, secondo anche quanto sostenuto da alcuni testi e dal funzionario dello Spisal intervenuto, il kit salvavita che doveva utilizzare l’infortunato era conforme alle relative norme di sicurezza.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto fondato dalla Corte di Cassazione che ha pertanto annullata senza rinvio la sentenza di condanna dell’imputato. La Corte distrettuale erroneamente, secondo la suprema Corte, non aveva presa in considerazione la sentenza con la quale il Tribunale aveva assolto, all’esito del giudizio abbreviato, il coimputato per insussistenza del fatto. Nel provvedimento di assoluzione il Tribunale aveva affermato che il lavoratore infortunato, nello svincolare l’ancoraggio dell’imbracatura al sistema di trattenuta, aveva tenuta una condotta del tutto “anomala, imprevedibile, eccezionale ed abnorme” e che le sue dichiarazioni erano state smentite dai documenti acquisiti dal tecnico dello Spisal in occasione del sopralluogo, dalle foto contenute nel fascicolo fotografico e dalle dichiarazioni di un teste che aveva confermato che tutti i lavoratori erano imbracati e assicurati alle funi anticaduta e aveva dichiarato altresì che lo stesso infortunato, con cui lavorava in coppia, era sempre ancorato in corso d’opera e che non si era accorto del momento in cui lo stesso si era svincolato.
Con riferimento al nesso di causalità la suprema Corte ha inoltre ricordato che vale il principio in forza del quale, di norma, la responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell’infortunio e ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicché il datore di lavoro è “garante” anche della correttezza dell’agire del lavoratore. La colpa del datore di lavoro pertanto non è esclusa da quella del lavoratore e l’evento dannoso è imputato al datore di lavoro, in forza della posizione di garanzia di cui ex lege è onerato, sulla base del principio dell’equivalenza delle cause vigente nel sistema penale (art. 41, comma 1, cod. pen.). Per mitigare gli effetti del richiamato principio, vale peraltro il concorrente principio dell’interruzione del nesso causale, esplicitato normativamente dall’art. 41, comma 2, cod. pen., in forza del quale, facendosi eccezione proprio al concorrente principio dell’equivalenza delle cause, quella sopravvenuta del tutto eccezionale ed imprevedibile, in alcun modo legata a quelle che l’hanno preceduta, finisce con l’assurgere a causa esclusiva di verificazione dell’evento.
In tal caso, infatti, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell’evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore, finisce con l’essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento, che, per l’effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore. Per interrompere il nesso causale occorre, comunque, che il comportamento del lavoratore sia “anomalo” ed “imprevedibile” e, come tale, “inevitabile”; cioè un comportamento che ragionevolmente non può farsi rientrare nell’obbligo di garanzia posto a carico del datore di lavoro.
Nella vicenda esaminata, la ricostruzione operata da entrambi i giudici di merito (quello del giudizio a carico del coimputato e quello del procedimento in esame), pur pervenuti a conclusioni difformi, depone per la non riconducibilità dell’evento lesivo alla condotta colpevole del datore di lavoro: l’inatteso sganciamento dell’imbracatura è stata infatti la causa assorbente che ha determinato l’evento lesivo. Trattasi di causa non solo imprevedibile, ma anche inevitabile, giacché il contesto della prestazione del lavoro non poteva certo consentire al titolare della posizione di garanzia una persistente attività di costante verifica dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza.
Nel caso in esame, ha così concluso la Corte di Cassazione, “non è risultata individuata né individuabile una regola cautelare in ipotesi violata che possa ricollegarsi all’evento, essendo stato accertato in sede di merito che il datore di lavoro aveva dotato il lavoratore del necessario presidio di sicurezza e informandolo/formandolo al riguardo in maniera adeguata”.
A fronte delle lacune sopra evidenziate nella motivazione della sentenza impugnata in ordine all’area di rischio che il ricorrente, quale datore di lavoro, era chiamato a gestire, la Cassazione ha rammentato che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso.
Gerardo Porreca
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