[vc_row][vc_column][vc_column_text]
[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando risulti certo che la condotta omissiva dell’imputato è stata condizione dell’evento lesivo con ‘alto grado di credibilità razionale’ o ‘probabilità logica’. A cura di Gerardo Porreca.
In occasione di questa sentenza la Corte di Cassazione si è occupata di una malattia professionale riguardante in particolare una patologia da strumenti vibranti ed ha annullata senza rinvio una sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello nei confronti di un datore di lavoro, ritenuto responsabile della patologia accusata dal lavoratore, evidenziando che la stessa Corte di merito era pervenuta alle sue conclusioni sulla base di una mera probabilità di un nesso causale fra la condotta omissiva del datore di lavoro e la patologia stessa a fronte di un rischio giudicato invece basso e della possibilità che la patologia stessa potesse essere collegata ad una pluralità di cause diverse.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
La Corte di Appello, su ricorso proposto dalla sola parte civile, ha riformata la sentenza con la quale il Tribunale aveva assolto il legale rappresentante di una ditta dal reato a lui ascritto ex art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen. commesso in danno di un lavoratore dipendente e lo ha dichiarato responsabile ai soli effetti civili del reato suddetto limitatamente alla malattia epicondilite destra, condannandolo al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede a favore del lavoratore stesso.
Oggetto del processo era stata una malattia professionale insorta a carico del lavoratore e nello stesso era stato imputato il legale rappresentante per avere consentito la effettuazione di lavorazioni che comportavano l’uso di uno strumento vibrante, nonché l’utilizzo di un martello per la rimozione delle bave dei getti, senza l’adozione delle necessarie misure di prevenzione, ossia guanti anti vibrazione e martelli con impugnatura di gomma, nonché elettroutensili. Questa, secondo l’imputazione, sarebbe stata la causa sia dell’epicondilite destra che della sindrome di Dupuytren, riscontrate al lavoratore.
La sentenza di assoluzione da parte del Tribunale era stata fondata sul mancato riconoscimento di un sicuro nesso causale fra il comportamento colposo oggetto di addebito e l’evento lesivo, avuto riguardo al breve periodo di impiego del lavoratore nelle suddette mansioni e la possibile interferenza di decorsi causali alternativi. La Corte di merito, viceversa, ritenuta l’irrilevanza di questi ultimi ed escluso altresì il rilievo della brevità dell’arco temporale nel quale il lavoratore sarebbe stato impiegato nelle mansioni suddette, ha sostenuto che l’adozione delle misure di prevenzione dovute avrebbe ragionevolmente impedito l’insorgere dell’epicondilite destra, giudicata come concretizzazione del rischio introdotto dall’imputato con la sua condotta omissiva facendo notare, per quanto riguarda la Sindrome di Dupuytren, che la stessa, già in sede peritale, era stata considerata come solo possibile, e non probabile conseguenza della condotta censurata per cui non ha riconosciuta la prova del nesso causale fra la suddetta condotta e la patologia medesima.
Avverso la sentenza d’appello l’imputato ha ricorso in Cassazione per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorrente, come prima motivazione, ha richiamato i contributi peritali, in base ai quali l’esposizione del lavoratore al rischio di malattie professionali in dipendenza della predetta condotta omissiva era incerta o molto lieve ed ha contestato inoltre che l’art. 35 del D. Lgs. n. 626/1994 fosse stato univocamente violato, avendo lo stesso valutato correttamente il rischio, per ridurre il quale non erano necessari particolari interventi tecnici. Come altra motivazione il ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale era pervenuta a sovvertire il giudizio del Tribunale operando in modo scorretto la valutazione di probabilità logica indicata dalla ben nota sentenza Franzese delle Sezioni Unite nonché omettendo di valutare adeguatamente la ricerca del nesso causale in relazione a una patologia “multifattoriale” come quella riscontrata al lavoratore, alla brevità del periodo di esposizione di quest’ultimo al rischio, al basso rischio professionale cui il lavoratore era esposto ed alla scarsa rilevanza di patologie simili tra i lavoratori esposti a rischi analoghi.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso presentato dall’imputato fondato e meritevole di accoglimento. La stessa ha sostenuto che la Corte territoriale, pur muovendo correttamente dalle premesse metodologiche indicate dalla sentenza Franzese, ha fatto solo in parte buon governo dei principi in essa recepiti, rivelandosi affatto carente nell’individuare e qualificare gli elementi posti a base delle sue conclusioni. E’ risultata sicuramente comprovata la condotta omissiva dell’imputato ma quanto invece alla rilevanza causale della condotta stessa era emerso che l’arco temporale della sua esposizione al rischio era stato limitato a meno di un anno: circostanza, questa, evidenziata anche dal perito il quale, pur ritenendo ugualmente che tale condizione fosse compatibile con l’insorgenza della malattia, valutandone come “probabile” la rilevanza causale, aveva tuttavia riconosciuto la presenza di potenziali interferenze eziologiche soggettive, come il distiroidismo, interferenze eziologiche che peraltro, come si evince dalla sentenza impugnata e come evidenziato nel ricorso, erano state illustrate anche dai consulenti di parte, in rapporto non solo a patologie tiroidee da cui il lavoratore era affetto, ma anche da abitudini (il passato di fumatore, il praticare il ciclismo) ritenute a loro volta potenzialmente incidenti.
“In tema di causalità”, ha così proseguito la Sez. IV, “può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e ‘processualmente certa’ la conclusione che la condotta omissiva dell’imputato é stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto o elevato grado di credibilità razionale” o ‘probabilità logica’”. Sarebbe stato necessario, secondo la Corte di Cassazione, procedere nel caso in esame a una puntuale verifica, da effettuarsi in concreto ed in relazione alle peculiarità della vicenda, in ordine all’efficienza determinante dell’esposizione del lavoratore a specifici fattori di rischio nel contesto lavorativo nella produzione dell’evento e sarebbe stato altresì in particolare necessario aver riguardo al carattere multifattoriale della patologia e, pertanto, alla sua riconducibilità ad una pluralità di possibili fattori causali; in tal caso il giudice non può ricercare il legame eziologico, necessario per la tipicità del fatto, sulla base di una nozione di concausalità meramente medica, dovendo le conoscenze scientifiche essere ricondotte nell’alveo di una causa condizionalistica necessaria.
Non può non rilevarsi, ha così proseguito la suprema Corte, che nel caso in esame la Corte di merito ha fondato la propria valutazione e le proprie conclusioni su elementi probatori sostanzialmente cristallizzati e «anelastici», tali cioè da non poter consentire alla Corte territoriale di pervenire alle stesse conclusioni, in quanto geneticamente inidonei a determinare elementi di certezza in ordine all’attribuzione di responsabilità al ricorrente sulla base di una nuova e diversa disamina ispirata ai principi dianzi enunciati. Si intende con ciò affermare, ha così concluso la suprema Corte, che, in base alle prove disponibili (a cominciare dai contributi peritali), un corretto percorso argomentativo fondato sul così detto giudizio controfattuale, siccome necessariamente basato su una mera probabilità del rilievo causale delle condotte ascritte all’imputato in presenza di fattori causali alternativi, la cui rilevanza é stata liquidata dalla Corte di merito in modo apodittico a fronte dei contributi conoscitivi pervenuti al sapere processuale, non consentirebbe in ogni caso un diverso apprezzamento di dette prove, né di pervenire comunque ad affermare con univoca certezza la dipendenza eziologica della patologia riscontrata a carico della persona offesa dalle condotte omissive attribuite all’imputato.
Per quanto sopra detto in definitiva la Corte suprema ha annullata la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
Gerardo Porreca[/vc_column_text][lsvr_separator][/vc_column][/vc_row]