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Autore: Gerardo Porreca
Categoria: Sentenze commentate
15/04/2019: L’obbligo del datore di lavoro di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che gli assicurino la conoscenza delle attività lavorative.
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Entra questa sentenza della Corte di Cassazione in quel gruppo di sentenze nelle quali la stessa è stata chiamata ad individuare le responsabilità per un infortunio sul lavoro accaduto in strutture complesse nelle quali il datore di lavoro ha in genere delle difficoltà ad ottemperare agli obblighi di vigilanza che gli impongono le disposizioni di legge in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Più volte la suprema Corte si è occupata dell’argomento e fra le ultime espressioni si richiama la sentenza della Sezione IV penale n. 12639 del 19/3/2018 ( Sulla non responsabilità per gli infortuni del direttore di stabilimento) con la quale è stato affermato il principio, ora richiamato in questa sentenza in commento secondo cui l’obbligo del datore di lavoro di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte del datore di lavoro stesso delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi.Un altro principio consolidato richiamato dalla suprema Corte in questa sentenza è quello secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni, ai fini della individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse bisogna fare riferimento a soggetti espressamente deputati alla gestione del rischio essendo comunque generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del datore di lavoro l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa.
Il ricorso alla Corte di Cassazione e le motivazioni
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte di Appello ha parzialmente riformata la pronuncia emessa dal Tribunale con la quale il socio accomandatario di una società e il preposto dell’impresa edile gestita dalla società stessa erano stati giudicati responsabili del delitto di cui agli art. 40 cpv. e 589 cod. pen. e condannati alla pena per ciascuno ritenuta equa e la società, giudicata responsabile dell’illecito di cui all’art. 25-septies del D. Lgs. n. 231/2001, condannata alla sanzione ritenuta equa in relazione al decesso di un lavoratore dipendente. Il giudice di secondo grado ha altresì concessa agli imputati la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e ha assolta invece la società dall’illecito amministrativo contestatole perché il fatto non sussiste.
L’infortunio mortale del lavoratore era accaduto in un cantiere ove la società stava eseguendo dei lavori edili e si era verificato allorquando un manufatto in cemento prefabbricato denominato bocca di lupo aveva ceduto mentre era ancoratoalla autogru che lo stava movimentando ed era caduto, schiacciandolo, sul lavoratore che si trovava sul fondo dello scavo nel quale il manufatto doveva essere posizionato.
Il socio accomandatario della società era stato accusato di non aver previsto nel POS i rischi connessi alla movimentazione delle bocche di lupo, di non aver predisposto delle procedure scritte per la loro movimentazione, di non aver formato il personale e di non avere fornito delle direttive per l’imbracatura delle bocche di lupo nei punti di ancoraggio. Al preposto era stato addebitato di aver disposto una errata manovra di ancoraggio del gancio della gru all’ultima coppia superiore dei fori laterali e di aver consentito che due operai, uno dei quali l’infortunato, si trovassero nell’area sottostante il carico sospeso.
Il ricorso alla Corte di Cassazione e le motivazioni
I due imputati hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello adducendo alcune motivazioni. Il socio accomandatario, accusato di non essersi recato cantiere per sei giorni e di non avere assunto delle informazioni precise e dettagliate dal preposto e quindi di aver omesso di modificare il POS originario, come richiesto dalla modifica rispetto alla previsione di utilizzare delle bocche di lupo in vetroresina, ha sostenuto che erroneamente era stata attribuita a luiun’assenza prolungata in quanto dalla data di trasporto in cantiere delle bocche di lupo alla data dell’infortunio i giorni lavorativi trascorsi erano stati soltanto tre. In secondo luogo lo stesso ha sostenuto che il consulente tecnico del PM aveva chiarito che la posa delle bocche di lupo è una attività di dettaglio e non bisognevole di approfondimenti progettuali. Lo stesso ha aggiunto, inoltre, che la Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione che era stato designato un CSE che effettuava quotidiane visite in cantiere e che il preposto non era stato mai lasciato solo ad occuparsi della problematica e ancora che, avendo disposto per l’uso delle bocche di lupo in vetroresina e non essendo stato mai informato del cambiamento, non poteva aggiornare il POS.
Il preposto, dal canto suo, ha fatto presente che prima dell’incidente erano state già movimentate le bocche di lupo in cemento armato e non poteva quindi essere a lui rimproverato di aver deciso quali fori dovessero essere utilizzati per il sollevamento del manufatto invece, operazione questa che non andava fatta perché mancavano le istruzioni.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso del socio accomandatario che ha pertanto accolto. La stessa ha osservato che la Corte distrettuale aveva fondata l’affermazione di responsabilità pronunciata nei suoi confronti sul fatto che la sua mancata conoscenza della decisione di utilizzare bocche di lupo in cemento al posto di quelle in vetroresina fosse da ricondurre ad una violazione dell’ obbligo del datore di lavoro di controllare fisicamente l’andamento dei lavori in cantiere ma non aveva però indicato quale fosse stato, a suo avviso, la fonte donde aveva tratto la doverosità dello specifico comportamento descritto.
E’ indubbio, ha sostenuto la suprema Corte che, alla luce della normativa prevenzionistica vigente, sul datore di lavoro gravi l’obbligo di valutare tutti i rischi connessi alle attività lavorative e pervenire, attraverso tale adempimento, alla individuazione delle misure cautelari necessarie e quindi alla loro adozione, non mancando di assicurarsi che tali misure vengano osservate dai lavoratori. Ma nella maggioranza dei casi, ha aggiunto la stessa, la complessità dei processi aziendali richiede la presenza di dirigenti e di preposti che in diverso modo coadiuvano il datore di lavoro in quanto i primi attuano le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa (art. 2, comma 1 lett. d) del D. Lgs. n. 81/2008) e i secondi sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa (art. 2, comma 1 lett. e) del D. Lgs. n. 81/2008). Già nel tessuto normativo, del resto, ha aggiunto la Sez. IV, è previsto che il datore di lavoro vigili attraverso figure dell’organigramma aziendale che, essendo investiti dei relativi poteri e doveri, risultano garanti della prevenzione a titolo originario.
Alla luce di tali previsioni, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio già scandito dalla stessa secondo il quale “in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, ai fini dell’individuazione del garante nelle strutture aziendali complesse occorre fare riferimento al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio essendo, comunque, generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo”.
Pertanto, anche in relazione all’obbligo di vigilanza, le modalità di assolvimento vanno rapportate al ruolo che viene in considerazione per cui il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell’esercizio dei compiti di vigilanzaaffidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli (tanto che, qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi “contra legem”, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche). Quanto alle concrete modalità di adempimento dell’obbligo di vigilanza però esse non potranno essere quelle stesse riferibili al preposto ma avranno un contenuto essenzialmente procedurale, tanto più complesso quanto più elevata è la complessità dell’organizzazione aziendale e viceversa.
La Corte di Cassazione ha quindi sintetizzato l’assunto nel principio di diritto secondo cui “l’obbligo datoriale di vigilare sull’osservanza delle misure prevenzionistiche adottate può essere assolto attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza del datore di lavoro delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione adottate a seguito della valutazione dei rischi“.
Con riferimento al caso in esame la suprema Corte ha rimarcato come il datore di lavoro non potesse essere rimproverato per una sua assenza fisica dal cantiere o per non aver interloquito con il preposto, tanto più perché suo figlio. Sotto tale profilo, ha aggiunto la Sez. IV, la corte territoriale avrebbe dovuto indagare sulle ragioni ‘strutturali’ della carenza informativa verificatasi e su come erano strutturate le procedure di acquisto dei materiali e di controllo della loro corrispondenza a quanto previsto nel documento di valutazione, onde verificare quali misure fossero previste per evitare che quanto in esso disposto fosse vanificato in concreto e quindi indagare sulle direttive impartite al preposto per l’assicurazione dell’osservanza delle misure previste dal documento di valutazione e sulle modalità definite per l’assolvimento dell’obbligo di vigilanza sul medesimo. Non essendo perciò emerso dalla sentenza impugnata nulla di tutto questo, la suprema Corte ha di conseguenza annullata la sentenza impugnata nei confronti del socio accomandatario con rinvio alla Corte di Appello di provenienza per un nuovo esame, da compiersi alla luce di quanto precisato.
Con riferimento, infine, al ricorso del preposto la Corte di Cassazione lo ha ritenuto infondato e lo ha pertanto rigettato. Il preposto, infatti, aveva basato il suo ricorso sul fatto che le bocche di lupo fossero già state movimentate agganciando le catene nei fori superiori distanziati dal bordo di appena 5 cm mentre la corte distrettuale ha precisato che tale affermazione non era stata in alcun modo provata e aveva chiarito, inoltre, che l’inidoneità di un aggancio delle catene nei predetti fori era percepibile da chiunque, proprio per la ridotta distanza tra il foro ed il bordo del manufatto.
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