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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Il rischio negli appalti interni non è specifico dell’appaltatore se per la sua eliminazione basta ricorrere a precauzioni generiche ma quando richiede una specifica competenza tecnica. A cura di Gerardo Porreca.
Ha trovato l’occasione la Corte di Cassazione in questa sentenza per analizzare le disposizioni di cui all’articolo 26 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 ed in particolare per fornire delle indicazioni sull’esclusione della loro applicazione prevista nell’ultimo periodo del comma 3 dello stesso articolo nel caso della presenza di rischi specifici delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi. Negli appalti interni, ha infatti sostenuto la suprema Corte, i rischi non sono da considerarsi specifici dell’appaltatore o dei lavoratori autonomi se per la loro eliminazione basta ricorrere a precauzioni generiche ma quando l’eliminazione stessa richiede una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi, nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine.
Il fatto, l’iter giudiziario e il ricorso in Cassazione
La Corte d’Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale aveva condannato il legale rappresentante di una azienda agricola, il datore di lavoro di una ditta appaltatrice e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dell’impresa appaltatrice stessa per il reato di cui agli arti. 40 comma 2, 41, 589 commi 1 e 2 cod. pen. in danno di un lavoratore dipendente. Il lavoratore si era infortunato mortalmente nel corso dei lavori di sostituzione di un telo nella serra installata presso l’azienda agricola in quanto, avendo raggiunto la parte superiore della impalcatura metallica, senza ausilio di scale o ponteggi omologati e senza l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione e non potendo per tale motivo operare frontalmente al tubo avvolgitelo, come espressamente prescritto dalle istruzioni di montaggio e smontaggio della serra, è stato costretto a sporgersi in avanti per l’utilizzo di una chiave avvolgitelo che, a causa di un improvviso cedimento, effettuava uno scatto rotativo in senso antiorario attingendolo al capo e provocandogli gravi lesioni che ne causavano la morte.
Al legale rappresentante dell’azienda agricola nonché committente dei lavori di sostituzione dei teli della serra dell’azienda era stato contestato di avere omesso di controllare e verificare la corretta e puntuale esecuzione dei lavori appaltati con particolare riferimento al dovere di ottemperare agli obblighi specificamente previsti dalla vigente normativa in materia di salute e sicurezza. Al titolare della ditta appaltatrice dei lavori di sostituzione dei teli della serra era stato contestato di avere quale datore di lavoro dell’infortunato posto in essere una serie di omissioni, in violazione degli artt. 3, 21, 22 35, 37 e 38 D. Lgs. 626/1994 mentre al responsabile del servizio di prevenzione e protezione era stato contestato di avere omesso di segnalare a tutti i preposti i pericoli connessi alla effettuazione dei lavori di sostituzione dei teli senza l’utilizzo di idonei dispositivi di protezione e senza il rispetto delle procedure indicate nel libro di istruzioni per il montaggio e lo smontaggio dei teli medesimi
Avverso la decisione della Corte di Appello gli imputati hanno fatto ricorso in Cassazione con atti distinti. Il legale rappresentante dell’azienda ha sostenuto l’illogicità della motivazione con riferimento all’affermazione della sua penale responsabilità ed in particolare al ritenuto nesso causale ed alla sua posizione di garanzia sostenendo che l’evento infortunistico non si sarebbe verificato se la persona offesa avesse osservato puntualmente la procedura di sostituzione dei teli. Il titolare dell’impresa appaltatrice, fra le altre motivazioni, si è lamentato che non fosse stata esclusa la sua responsabilità attesa l’esistenza nel caso specifico del preposto e del responsabile della sicurezza mentre il RSPP ha lamentato che nel caso in esame erano state travisate le funzioni che il D. Lgs. n. 626/1994 ha attribuito alla sua figura.
Le decisioni della Corte di Cassazione
I ricorsi sono stati ritenuti infondati dalla Corte di Cassazione che li ha pertanto rigettati. Con riferimento al ricorso del legale rappresentante la Corte suprema ha messo in evidenza che anche e qualora fossero state eseguite le procedure corrette, restava il fatto che è stata acclarata nel caso in esame l’assoluta mancanza di qualsivoglia dispositivo di protezione individuale (quali quelli suggeriti dalle stesse istruzioni di montaggio quali caschi, cinture di sicurezza, ecc.) il cui utilizzo avrebbe sicuramente consentito, se non di azzerare qualsiasi conseguenza pregiudizievole, quanto meno di attenuarla. Né può ritenersi, ha precisato la Sez. IV, che il lavoratore con il suo comportamento abbia dato luogo ad una causa sopravvenuta idonea ad escludere il rapporto di causalità. Perché ciò avvenga, infatti, ha precisato la Corte di Cassazione, si deve trattare di un percorso causale ricollegato ad un comportamento completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale; di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili. Assolutamente corrette quindi sono state le decisioni dei giudici di merito i quali hanno escluso l’abnormità della condotta del lavoratore infortunato.
Quanto alla posizione di garanzia del rappresentante legale dell’azienda agricola quale committente dei lavori la Corte suprema ha fatto osservare che in materia di infortuni sul lavoro in un cantiere il committente rimane il soggetto obbligato in via principale all’osservanza degli obblighi imposti dal D. Lgs. n. 494/1996 e che peraltro l’art. 7 comma 3 del D. Lgs. n. 626/1994 prevede che incombe sul datore di lavoro committente promuovere la cooperazione e il coordinamento e che tale obbligo debba ritenersi escluso soltanto nel caso di “rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”. “L’esclusione, dunque”, così prosegue la Sez. IV, “è prevista non per le generiche precauzioni, da adottarsi negli ambienti di lavoro per evitare il verificarsi di incidenti, ma per quelle regole che richiedono una specifica competenza tecnica settoriale, normalmente assente in chi opera in settori diversi nella conoscenza delle procedure da adottare nelle singole lavorazioni o nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine”. “In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro”, ha ribadito ancora la Sez. IV, “qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d’appalto, il committente è esonerato dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell’utilizzazione di speciali tecniche o nell’uso di determinate macchine”.
In merito alle lamentele avanzate dal datore di lavoro del lavoratore infortunato riferite all’accertata esistenza nel caso in esame della figura del preposto e di quella del RSPP, la Corte di Cassazione ha osservato che costituisce principio del tutto consolidato che, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale primo responsabile della sicurezza, ha l’obbligo sia di predisporre le misure antinfortunistiche che quello di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’ art. 2087 c.c., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro.
Venendo infine al ricorso del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione la Sez. IV ha esaminata la questione concernente il ruolo da questi rivestito di RSPP. Tale figura, ha sostenuto la stessa, non è destinataria in prima persona di obblighi sanzionati penalmente e svolge un ruolo non operativo, ma di mera consulenza; l’argomento non è tuttavia di per sé decisivo ai fini dell’esonero dalla responsabilità penale. In realtà, l’assenza di obblighi penalmente sanzionati si spiega agevolmente proprio per il fatto che il servizio è privo di un ruolo gestionale e decisionale. Tuttavia quel che importa è che il RSPP sia destinatario di obblighi giuridici e non vi è dubbio che, con l’assunzione dell’incarico, egli assuma l’obbligo giuridico di svolgere diligentemente le funzioni di competenza.
D’altra parte, il ruolo svolto dal RSPP è parte inscindibile di una procedura complessa che sfocia nelle scelte operative sulla sicurezza compiute dal datore di lavoro e la sua attività può ben rilevare ai fini della spiegazione causale dell’evento illecito. L’imputato, nel caso in esame, aveva l’obbligo giuridico nella veste di RSPP di fornire attenta collaborazione al datore di lavoro individuando i rischi lavorativi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli. La sentenza della Corte di Appello ha chiarito come lo stesso abbia violato gli obblighi imposti dalla legge, omettendo la necessaria, doverosa attività di segnalazione e stimolo ai fini della rimozione dei rischi.
Gerardo Porreca
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