[vc_row][vc_column][vc_column_text]
Una gestione poco responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro può avere riflessi negativi molto pesanti sui costi diretti e indiretti per l’azienda. A cura di Massimo Servadio.
Una gestione poco responsabile della sicurezza sul luogo di lavoro può avere riflessi negativi molto pesanti sui costi diretti e indiretti per l’azienda. Anche per questo motivo è un errore considerarla un lusso o viverla solo come un’imposizione di legge.
Oggi, nonostante significativi passi in avanti, investire nella sicurezza è ancora ritenuto troppo dispendioso. In realtà analizzando più nel dettaglio la letteratura manageriale, essa ci mostra come una gestione poco responsabile della sicurezza agisce sulla voce “costi diretti”, esempio:
- vendite ed export
- clima interno
- posizionamento
- diminuzione della redditività
- aumento del premio INAIL
- danni agli impianti
- danni alle persone
- sostituzione dell’infortunato
- rapporti con l’autorità
- spese legali
e sulla voce “costi indiretti”, rappresentati ad esempio:
- tempo di lavoro perso dal lavoratore
- tempo di lavoro perso dai lavoratori del reparto
- perdita di efficienza per la rottura del team e tempo perso dal responsabile
- costi di formazione per il rimpiazzo
- danni indiretti derivanti dall’incidente
- fallimento nel rispetto delle scadenze
- reputazione dell’azienda
- clima interno psicologico
Risulta orma chiaro come, per evitare tutto ciò, sia necessario agire anche e soprattutto su quello che viene definito “Fattore umano”, relativamente a quegli elementi del lavoro, dell’organizzazione e degli individui che possono influenzare i comportamenti e che, di conseguenza, hanno un impatto sugli obiettivi di salute e sicurezza.
In questa direzione, ci si imbatte spesso in due costrutti che apparentemente sembrano molto simili fra loro ma che presentano differenze, pur avendo un rapporto di reciproca interdipendenza: la Cultura della Sicurezza (Safety Culture) e il Clima di Sicurezza (Safety Climate).
Con il termine “Cultura della Sicurezza” si fa riferimento all’insieme dei processi organizzativi e delle pratiche professionali, delle norme scritte e delle convenzioni informali, dei linguaggi, dei modi di pensare, di percepire e di rappresentare il rischio in azienda. Per costruire una Cultura della Sicurezza in azienda, risulta necessario, per prima cosa, cominciare ad abituarsi a “pensare sicuri” in una logica di benessere globale che coinvolga l’uomo/lavoratore.
Per concretizzare l’idea astratta di sicurezza in una realtà tangibile, bisogna dar tempo alla cultura della sicurezza di mettere radici profonde nel terreno sociale: a tal fine troverebbe utilità allo scopo l’introduzione della formazione alla sicurezza ed alla salute, non solo nell’ambiente lavorativo, ma a partire dal programma scolastico curriculare: lo scopo è quello di sensibilizzare i giovani e creare canali volti a favorire la diffusione di buone pratiche, tenendo anche conto che in questa fase il futuro imprenditore e il futuro operaio si trovano in un’ideale condizione di parità e neutralità davanti all’informazione che oggettiva la sicurezza sul lavoro.
La diffusione della Cultura della Sicurezza trova terreno fertile quando un’azienda, nei processi di governance passa dal mero adempimento alle leggi, ad un approccio più ampio e condiviso verso il significato comune del lavorare in sicurezza, tenendo conto della produttività e contemporaneamente del benessere delle persone. L’appropriazione di un concetto e modo di vivere la sicurezza da parte di tutti i lavoratori, rappresenta l’obiettivo organizzativo a cui tendere.
Cosi facendo, mettere in atto una procedura o indossare un DPI diventerà un preciso e consapevole segnale culturale, non più un mero obbligo prescrittivo imposto.
Cosa si intende, invece, per “Clima di Sicurezza”? Tra le molteplici definizioni di Clima di Sicurezza, quella più completa è probabilmente quella di Zohar (2010) che lo definisce come un “sistema di credenze, condivise dai lavoratori, circa la sicurezza della propria organizzazione. Dette credenze sono influenzate dalla percezione dell’atteggiamento adottato dal management in merito alla sicurezza e all’importanza della stessa rispetto ai processi produttivi dell’aziendale percezioni condivise dai lavoratori riguardo a politiche, procedure e pratiche attivate nel luogo di lavoro in relazione alla sicurezza”.
L’uso spesso interscambiabile di questi due costrutti, Safety culture e Safety Climate, ha generato un dibattito sulla necessità o meno di distinguere i due costrutti. Tra coloro che ritengono che Clima e Cultura della Sicurezza, seppure correlati, facciano riferimento ad aspetti differenti, vi sono Shannon e Norman (2009), i quali hanno efficacemente sostenuto che la Cultura della Sicurezza abbia un’accezione più ampia, più stabile, che si manifesta nelle interazioni e nelle pratiche quotidiane; il Clima di Sicurezza, invece, farebbe riferimento a uno stato relativamente temporaneo, soggetto a cambiamenti a seconda delle specifiche circostanze operative. Come ha suggerito Cooper (2000), può essere inteso come il correlato psicologico della Cultura della Sicurezza, ovvero una sua specifica dimensione.
In ogni caso credo che agire su entrambi i costrutti sia la soluzione o meglio il percorso migliore verso un’organizzazione tesa ad apprende da se stessa, rispetto ad un’organizzazione declinata sulla mera cultura della ricerca dell’errore umano.
Massimo Servadio
Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni
Riferimenti bibliografici:
– Cooper, M.D., 2000. Towards a Model of Safety Culture. Safety Science, 36, 111-136.
– Shannon H.S., Norman G.R. (2009). Deriving the factor structure of safety climate scales. Safety Science, 47: 327-329.
– Zohar D. (2010). Safety climate. Conceptual and measurement issues. In: Quick J.C., Tetrick L.E., edited by, Handbook of occupational health psychology, 2nd edition, Washington, DC: American Psychology Association.
[/vc_column_text][lsvr_separator][/vc_column][/vc_row]