[vc_row][vc_column][vc_column_text]

 

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]

Autore: Carmelo G. Catanoso
Categoria: POS, PSC, PSS

23/05/2019: La Cassazione Penale Sez. IV, con la sentenza n. 57974/2017 ha chiarito che la riunione periodica di coordinamento ha funzione integrativa del PSC in relazione all’evoluzione dei lavori.

Il Coordinatore della Sicurezza per L’Esecuzione dei lavori (CSE) è soggetto gravato dagli obblighi dell’art. 92 del D. Lgs. n° 81/2008. Il comma 1 lett. b) di questo articolo richiede al CSE, oltre a verificare l’idoneità del Piano Operativo di Sicurezza (POS), di adeguare il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) in relazione all’evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere e verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi POS.

Come tale adeguamento debba avvenire, il legislatore nulla dice.

Pertanto, ogni CSE ha adottato una propria metodologia per adeguare il PSC ogni qual volta, lo sviluppo dei lavori lo ha reso necessario.

C’è chi ha rielaborato integralmente il PSC introducendo i cambiamenti resisi necessari.

C’è chi ha allegato al PSC degli stralci integrativi.

C’è chi ha formalizzato le decisioni di adeguamento prese per il PSC all’interno delle riunioni di coordinamento.

Su quest’ultimo metodo, gli enti di vigilanza, a macchia di leopardo, hanno avuto spesso da ridire, contestando che al PSC non era stata apportata formalmente alcuna modifica visto che, al momento del loro sopralluogo in cantiere, ad esempio, era in atto una lavorazione che interferiva con le altre ma non era presente nel citato documento programmatico per la gestione della sicurezza in cantiere.

Inutili risultavano le rimostranze dei CSE che evidenziavano che, nelle riunioni di coordinamento periodiche, la nuova lavorazione era stata presa in considerazione, era stata analizzata ed erano state definite le misure conseguenti per garantire la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro con il tutto messo nero su biancoall’interno delle citate riunioni con, ad esempio, ben evidenziato:

<< Le decisioni relative al PSC, formalizzate all’interno del presente verbale in funzione delle modifiche intervenute, costituiscono adeguamento dello stesso e impegnano tutti gli attori alla puntuale applicazione di quanto congiuntamente concordato>>.

Nonostante ciò, basandosi sulla formale assenza di previsione della lavorazione XYZ all’interno del PSC, gli enti di vigilanza sanzionavano il CSE per la violazione dell’art. 92 comma 1, lett. b) o, in caso, di reato d’evento, ex art. 589 e 590 cp, lo coinvolgevano nel procedimento giudiziario in seguito ad infortunio sul lavoro.

Ora, se dovessimo commentare, da ambientalisti, questo tipo di approccio degli enti di vigilanza, dovremmo dire che si tratta di un approccio che concorre all’incremento delle attività di deforestazione dell’Amazzonia, vista la necessità di dover periodicamente ristampare un documento ogni qual volta si manifestasse la necessità di una modifica alle lavorazioni, cosa che, in un cantiere edile, anche di bassa complessità, può essere molto frequente.

Eppure, basterebbe non avere i paraocchi e un po’ di pragmatismo per comprendere che una riunione di coordinamento, i cui contenuti sono quelli sopra descritti, soddisfa ampiamente quanto richiesto dal legislatore riguardo l’adeguamento dei documenti programmatici di cantiere per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro.

Su questo argomento, con i tempi di risposta tipici di un call center intasato, c’è arrivata anche la Cassazione Penale, Sez. IV con la sentenza del 29 dicembre 2017, n. 57974.

Non è certo una novità che, anche su questioni la cui ovvietà è palese, la nostra Cassazione Penale, ci arrivi sempre con difficoltà e tempi biblici.

Basta ricordare che le prime pronunce in cui il ruolo di coordinatore passava da quello di costante vigilante di cantiere dotato del potere della pluriubiquità (in modo da poter essere contemporaneamente in più luoghi del cantiere o in più cantieri), a quello di regista della sicurezza, ci sono voluti tredici anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. 494/1996 con le prime sentenze del 2010 dove era stato ribadito che le funzioni del CSE erano e sono di alta vigilanza e non vanno confuse con la vigilanza operativa che è demandata al datore di lavoro ed alle figure che da lui dipendono come, ad esempio, il preposto.

Sempre secondo le sentenze dei giudici della Suprema Corte, evidentemente abbagliati e convertiti sulla via del Palazzaccio ad inizio 2010, il CSE doveva e deve esercitare <<un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)>>.

Comunque, come dicevamo prima, anche la Cassazione Penale ha compreso che l’aggiornamento del PSC possa essere effettuato tramite le riunioni di coordinamento, riconoscendone la piena validità come metodo per governare le attività di cantiere (Cassazione Penale, Sez. IV del 29 dicembre 2017, n. 57974).

Ovviamente, questa pronuncia, così come le tante altre che avevano ridefinito il perimetro delle responsabilità del CSE, è passata in silenzio senza che nessuno dei soliti commentatori gli dedicasse attenzione.

Non è certo una sorpresa, visto che i soliti commentatori si distinguono sempre per commentare solo pronunce della Cassazione Penale dove la condotta del CSE viene giustamente censurata, visti le palesi omissioni commesse.

Del resto, la spiegazione del perché i commenti riguardino solo queste sentenze è ovvia.

Infatti, chi tende a commentare solo queste sentenze lo fa perché così si alimenta il livello di preoccupazione se non di ansia o di paura tra gli addetti ai lavori, visto che queste preoccupazioni sono i principali driver che orientano la scelta di acquisto di consulenze professionali, di libri, di iscrizioni a convegni e seminari dove i commentatori sono relatori, ecc..

Per quanto legittimo tale approccio (anche se non condivisibile), va però detto che, così operando, non si fa una informazione corretta e completa.

Comunque, tornando sull’argomento, l’oggetto del presente contributo è la disamina della sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV del 29 dicembre 2017, n. 57974.

Cosa era successo nel caso esaminato dalla Cassazione Penale?

Nel corso di lavori presso un cantiere edile, presso il quale lavoravano più imprese, un lavoratore dell’impresa X stava eseguendo, all’interno di un cavedio, il lavaggio di una persiana smontata utilizzando una idropulitrice. Contestualmente si stavano svolgendo operazioni che comportavano l’uso di un montacarichi posizionato sulla sommità di un ponteggio metallico eretto all’interno del cavedio ove l’operatore citato stava eseguendo la suddetta operazione. Dal montacarichi, durante la fase di salita, si era staccato ed era caduto un trapano miscelatore, non adeguatamente assicurato al montacarichi stesso da parte di un dipendente dell’impresa Y; l’attrezzo aveva colpito al capo l’operatore dell’impresa X procurandogli le lesioni gravi.

Ai datori di lavoro dell’impresa X e dell’impresa Y fu contestato il reato ex 590 cp, in cooperazione colposa fra loro, per non avere adottato le misure necessarie a prevenire i rischi a carico dei lavoratori in sosta o in attività sotto carichi sospesi; a loro si aggiunse anche il CSE a cui fu contestato di non avere compiuto alcuna delle attività prescritte dall’art. 92 del D.Lgs. n° 81/2008, in relazione alle interferenze fra lavoratori delle diverse imprese, in particolare con riguardo alle modalità di accesso e di sosta nel cavedio, non aggiornando, così, il PSC.

La Corte di merito ritenne X, Y e CSE corresponsabili dell’accaduto.

Al CSE fu contestato di aver predisposto un piano di sicurezza e coordinamento che non poteva dirsi aggiornato dal verbale di coordinamento, in quanto quest’ultimo non conteneva riferimenti al rischio specifico concretizzatosi in occasione del lavaggio delle persiane e ai relativi provvedimenti da adottare.

Al datore di lavoro dell’impresa X, fu contestato sia la mancata fornitura dei DPI (pur presenti in cantiere) ai dipendenti, e tra questi all’operatore infortunato che la mancata vigilanza circa il loro effettivo utilizzo (in particolare, il casco protettivo).

Al datore di lavoro dell’impresa Y, dal quale dipendeva l’operatore che agganciò malamente l’attrezzo caduto sul capo dell’operatore infortunato, la Corte di merito, escludendo l’abnormità del comportamento del proprio operatore, rilevò la violazione, da parte sua, dell’art. 71 D.Lgs. n° 81/2008, laddove tale disposizione prescriveva l’adozione di misure per impedire che i lavoratori si trattenessero sotto i carichi sospesi e vietava che i carichi venissero fatti passare sopra i luoghi di lavoro non protetti, abitualmente occupati dai lavoratori.

Riguardo la sentenza di condanna ricorsero tutti e tre i soggetti.

Il ricorso della difesa del datore di lavoro X era basato su tre motivazioni.

Con il primo motivo denunciava violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata assoluzione, in quanto aveva predisposto un articolato POS, ove si attribuiva ad un proprio preposto, il compito di verificare costantemente osservanza delle previsioni in tema di prevenzione infortuni da parte dei dipendenti dell’impresa X. Il datore di lavoro dell’impresa X, inoltre, sosteneva di aver effettuato la formazione ai propri dipendenti ed aver distribuito i DPI con le informazioni sul loro uso. La Corte di merito aveva però ritenuto degno di fede il solo operatore infortunato che negava di aver ricevuto in dotazione i DPI; pertanto, il convincimento di colpevolezza da parte della Corte territoriale era frutto di una valutazione della prova errata e non osservante dei principi generali in materia.

Il secondo motivo di ricorso riguardava la violazione di legge in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e all’eccessività della pena inflitta, a fronte dell’immediata denuncia dell’infortunio, da parte del datore di lavoro dell’impresa X, alla propria compagnia assicuratrice, senza attendere che la persona offesa sollecitasse il risarcimento.

Infine, con il terzo motivo il datore di lavoro dell’impresa X, denunciava violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla decisione di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, senza valutare la capacità economica dell’imputato.

Il datore di lavoro dell’impresa Y, tramite il proprio difensore, lamentava violazione di legge (e di fatto anche vizio di motivazione) con riguardo all’interpretazione delle norme del D.Lgs. n° 81/2008 (in specie, degli artt. 17 lett. a) in relazione all’art. 28, e dell’art. 71 comma 6 del decreto) e alla posizione di garanzia per vigilanza genericamente a lui attribuita come datore di lavoro anche nei riguardi dell’infortunato, oltreché del proprio operatore in quanto, sul punto, la Corte di merito si era limitata a un rinvio alle considerazioni svolte dal Tribunale nella sentenza di primo grado. Per contro, l’infortunato dipendeva dall’impresa X mentre l’operatore a cui era caduto il trapano miscelatore era, in realtà, un lavoratore autonomo con propria partita IVA che operava per conto dell’impresa Y. Inoltre, la difesa del datore di lavoro dell’impresa Y, come secondo motivo di ricorso, lamentava violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al comportamento del lavoratore autonomo e dell’operatore dell’impresa X che andava qualificato come abnorme e avente valore interruttivo del nesso di causalità. Pertanto, attribuire al datore di lavoro dell’impresa Y, la responsabilità dell’accaduto, a fronte di siffatto comportamento dei due lavoratori, equivaleva a riconoscere in capo al ricorrente una forma di responsabilità oggettiva.

Il ricorso del CSE, invece, era articolato in due motivi di lagnanza.

Con il primo motivo, si lamentava violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata in rapporto alla posizione di coordinatore per l’esecuzione lavori a lui attribuita: posizione che, osservava il ricorrente, comportava obblighi di alta vigilanza e di verifica dell’applicazione delle disposizioni contenute nel PSC da parte delle imprese esecutrici, nonché dell’idoneità del POS e dell’eventuale necessità di procedere a un aggiornamento del piano stesso.

Secondo la difesa del CSE, il verbale della riunione di coordinamento costituiva una vera e propria integrazione del piano di sicurezza, che all’allegato 1 – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito – faceva espresso richiamo del precetto contenuto nell’art. 92 comma 1, lett. b) del D.Lgs. n° 81/2008 e prendeva espressamente in esame anche le lavorazioni da eseguirsi all’interno del cavedio dove era avvenuto l’infortunio.

Infatti, il CSE, con riguardo a tali luoghi, aveva introdotto nel documento il divieto di sovrapposizione di lavorazioni, con la sola eccezione del calaggio a basso delle persiane, da mantenersi sui ponteggi a cura della impresa X e da calarsi a cura della impresa Y; durante questa operazione, per espressa previsione del verbale della riunione di coordinamento, tutte le lavorazioni dovevano essere sospese.

Inoltre, riguardo la censura inerente il fatto che il verbale della riunione non fosse stato reso noto alle maestranze, come sostenuto in sentenza, la difesa del CSE aveva replicato ribadendo che il verbale era stato sottoscritto dai rappresentanti delle imprese operanti nel cantiere, visto che l’opera di alta vigilanza del coordinatore per l’esecuzione lavori è rivolta non già ai lavoratori, ma ai datori di lavoro delle imprese esecutrici.

Nel secondo motivo di ricorso, il CSE deduceva che la condizione cui era subordinata la sospensione della pena (ossia il pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva dell’importo complessivo di 60 mila euro) era maturata, come comprovano le ricevute di versamento allegate all’atto: rileva anzi il deducente che i versamenti erano stati effettuati tutti dal CSE, anche in relazione alle altrui posizioni.

La IV sezione della Cassazione Penale, nell’udienza del 24 novembre 2017, rigettava i ricorsi dei due datori di lavoro delle imprese X ed Y [1] e riteneva fondate le motivazioni del ricorso del CSE.

Le motivazioni per cui la Cassazione Penale aveva accettato il ricorso del CSE erano state le seguenti.

Secondo la Cassazione Penale, bisognava partire dalla considerazione che, per pacifica giurisprudenza in tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza che grava sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha ad oggetto esclusivamente il rischio cosiddetto generico e cioè relativo alle fonti di pericolo riconducibili all’ambiente di lavoro, al modo in cui sono organizzate le attività, alle procedure lavorative ed alla convergenza in esso di più imprese.
Pertanto, il CSE non risponde degli eventi riconducibili al cosiddetto rischio specifico, proprio dell’attività dell’impresa appaltatrice o del singolo lavoratore autonomo. Per giurisprudenza consolidata si è, altresì, recentemente precisato che la funzione di alta vigilanza che grava sul CSE <<ha ad oggetto esclusivamente il rischio per l’ipotesi in cui i lavori contemplino l’opera, anche non in concomitanza, di più imprese o lavoratori autonomi le cui attività siano suscettibili di sovrapposizione od interferenza, e non il sovrintendere, momento per momento, alla corretta applicazione delle prescrizioni e delle metodiche risultanti dal piano operativo di sicurezza>>.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, doveva riconoscersi che il ricorrente aveva correttamente prospettato, nei termini chiariti dalla giurisprudenza della Corte, i termini del suo ambito di responsabilità nella qualità di CSE in quanto <<ha documentato in modo puntuale ed esaustivo che, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, il verbale di coordinamento, oltre ad avere effettivamente funzione integrativa del piano di sicurezza, escludeva la sovrapposizione di attività lavorative anche con riguardo allo svolgimento di operazioni nella parte di ponteggio dentro il cavedio ove era avvenuto l’incidente, salvo che per le operazioni di calo a basso delle persiane, durante le quali le altre operazioni di lavoro dovevano rimanere sospese>>.

Inoltre, per la Cassazione Penale, è anche mal posta, nella sentenza impugnata, la questione della mancata diffusione del verbale della riunione periodica di coordinamento, visto che i compiti di alta vigilanza affidati al CSE, implicavano che egli interagisse non già con le maestranze, ma con i titolari delle imprese esecutrici nel vigilare e coordinare l’osservanza, da parte di costoro, delle misure di sicurezza.

Pertanto, secondo la Suprema Corte, la sentenza impugnata <<va annullata senza rinvio, per non avere il suddetto ricorrente commesso il fatto; conseguentemente vanno annullate, altresì, le statuizioni civili emesse nei suoi confronti>>.

La sentenza della Cassazione Penale, Sez. IV del 29 dicembre 2017, n. 57974, è emblematica per almeno un paio di motivi.

Innanzi tutto, riconosce la riunione periodica di coordinamento quale momento topico per rianalizzare le attività di cantiere, verificare preventivamente l’impatto dei cambiamenti resesi necessari per proseguire l’esecuzione dei lavori e, soprattutto, stabilire regole condivise per garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori coinvolti costituendo così una concreta e pratica metodologia di adeguamento, in corso d’opera, del PSC nonché dei POS delle imprese esecutrici.

L’altro motivo è che la sentenza ribadisce che il CSE non deve interagire direttamente con le maestranze, visti i compiti di alta vigilanza, ma con i datori di lavoro delle imprese esecutrici e i loro ausiliari (dirigenti e preposti).

In conclusione, si reputano doverose alcune riflessioni.

Innanzi tutto, in merito allo specifico caso, emerge la superficialità ed approssimazione con cui è stata effettuata l’indagine che ha portato al coinvolgimento del CSE tanto da far pensare ad una forma di responsabilità oggettiva a prescindere per questi.

Infatti, nonostante le evidenze oggettive che il CSE aveva prodotto agli atti, il rinvio a giudizio e le condanne conseguenti nei primi due gradi di giudizio, denotavano quanto meno una scarsa conoscenza, da parte di chi ha indagato e di chi ha giudicato, di quale fosse la condotta penalmente esigibile da parte di questo soggetto.

In altre parole, un’analisi condotta in modo approfondito in fase di indagine, avrebbe già dovuto far emergere, a fronte di quanto deciso nella riunione periodica di coordinamento, la totale estraneità del CSE.

Evidentemente, chi ha indagato era ancora bloccato nel tipico approccio che lo portava a vedere il CSE come il garante in toto della sicurezza in cantiere con la conseguenza di aver svolto un’indagine volta più alla ricerca di qualcosa che supportasse le proprie convinzioni che all’accertamento dei fatti.

Se da una parte è vero che l’indagine riguardava un infortunio sul lavoro avvenuto appena sei mesi dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n° 81/2008, è altrettanto vero che, ancora oggi, le indagini e le consulenze tecniche per la magistratura inquirente vengono svolte da soggetti che, nonostante, i consolidati orientamenti giurisprudenziali che negli ultimi dieci anni hanno definito con chiarezza quale sia il perimetro delle responsabilità del CSE, continuano a non aggiornarsi ed a guardare a questo soggetto come lo sceriffo di cantiere a cui nulla deve sfuggire, che deve rapportarsi direttamente con i lavoratori (basta guardare le domande fatte nelle SIT in cui l’ente di vigilanza ancora oggi chiede ai lavoratori se conoscono il CSE), che deve sopperire alle mancanze dei datori di lavoro delle imprese e che, se l’evento grave si è verificato, allora non può che esserci anche la sua co-responsabilità.

Questo, indubbiamente, lascia chiaramente intravedere, ancora oggi, ampi margini di miglioramento per il nostro sistema giudiziario nell’affrontare e comprendere quale sia la condotta penalmente esigibile da parte del CSE.

Carmelo G. Catanoso

Ingegnere Consulente di Direzione

[1] Per le motivazioni del rigetto dei due ricorsi si rimanda alla sentenza della Cassazione Penale sez. IV, 29 dicembre 2017, n. 57974

[/vc_column_text][lsvr_separator][/vc_column][/vc_row]