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Autore: Massimo Servadio
Categoria: Rischio psicosociale e stress

08/05/2019: Uno strumento per la prevenzione del rischio da technostress lavorativo: come funziona? Come si manifestano le reazioni a questo tipo di stress?

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La Rete e il mondo virtuale non sono più realtà parallele alla vita reale, ma sono completamente intrecciate ad essa. Per quanto Internet sia ormai uno strumento socialmente accettato ed utilizzato dalla maggior parte della popolazione mondiale, non si può non riconoscere il rischio che, dall’uso della Rete, si sviluppino situazioni disadattive di dipendenza conseguenti a una inappropriata esposizione ad esso.

Al rischio che scaturisce dall’utilizzo della Rete si accompagna un altro fenomeno attuale, legato all’utilizzo delle nuove e perennemente in espansione tecnologie digitali, più comunemente chiamate ICT (Information and Communication Technologies). Allo stato attuale, l’utilizzo eccessivo e disfunzionale delle ICT può portare l’individuo a sviluppare una nuova forma di stress, con un impatto molto forte sia sulla sfera sociale che lavorativa: il Technostress.

Il Technostress è ormai un fenomeno che ci accompagna sia nella vita privata sia nella vita professionale. Ricordiamo che fu definito per primo da Brod (1984) come “un disagio moderno causato dall’incapacità di coabitare con le nuove tecnologie del computer”. Definizione che fu ampliata successivamente da Weil e Rosen (1997), che lo intesero come “ogni impatto o attitudine negativa, pensieri, comportamenti o disagi fisici o psicologici causati direttamente o indirettamente dalla tecnologia”.

La ricerca recente ha messo in luce come l’individuo possa manifestare una serie diversificata di reazioni al technostress, che si manifestano a più livelli:

  1. Soggettivo: con ansia, rabbia, apatia, noia, depressione, stanchezza, frustrazione, senso di colpa, irritabilità, tristezza e solitudine, depressione, attacchi di panico, euforia;
  2. Comportamentale: si evidenziano disfunzioni del comportamento alimentare, eccessiva assunzione di alcol e droghe, eccitabilità, irrequietezza, difficoltà di parola, attacchi di rabbia (computer rage), calo del desiderio, alterazioni comportamentali, insofferenza verso membri della famiglia, aggressività; nel posto di lavoro anche passività, tendenza all’isolamento, immobilità e incapacità di agire;
  3. Cognitivo: si possono manifestare difficoltà nello svolgere i compiti e nel prendere decisioni, con un generale calo dell’attenzione, diminuzione della concentrazione, sostanziale riduzione e perdita dell’efficacia, maggior difficoltà a lavorare in team, lievi amnesie, calo del funzionamento intellettuale, aumento di sensibilità alle critiche, distorsioni e fraintendimenti di situazioni;
  4. Fisiologico: le conseguenze si riferiscono a ipertensione, disturbi cardiocircolatori, emicrania, sudorazione, secchezza della bocca, difficoltà di respirazione, vertigini, mal di testa, formicolio degli arti, mal di schiena e al torace, disturbi del sonno, stanchezza cronica, affaticamento mentale e disturbi gastrointestinali in genere;
  5. Organizzativo: l’individuo può essere vittima di fenomeni quali assenteismo, scarsa produttività, perdita di produttività, alto tasso di incidenti, antagonismo sul posto di lavoro, avvicendamento del personale, insoddisfazione, ritardo e malfunzionamento nei processi produttivi, organizzativi e gestionali, aumento del rischio per la salute e la sicurezza delle imprese, costi sociali e medici.

Dal punto di vista della prevenzione individuale, pongo l’attenzione sullo strumento della meditazione. In generale, la meditazione rafforza una funzione comune a tutti gli esseri viventi, ovvero l’omeostasi, sviluppandola sotto l’aspetto mentale.

I lavoratori del nostro quotidiano sono spesso in difficoltà causa i ritmi di lavoro forsennati e compiti spesso gravosi. Infatti, si parla di quest’era come quella del 24/7 e del multitasking: l’individuo è “costretto” a lavorare 24 ore al giorno, 7 giorni su 7 e a fare più cose contemporaneamente. In quest’ottica, non esiste più un tempo per il riposo e la meditazione può essere suggerita come una soluzione.

Fare meditazione significa mediare tra gli estremi di iper-attivazione e ipo-attivazione e instaurare una quiete vigile.

Durante la meditazione, quando la mente comincia a smarrirsi nelle sue divagazioni, attiviamo infatti la corteccia pre-frontale del cervello, che è il centro per la pianificazione e la concentrazione. L’attivazione pre-frontale riduce automaticamente l’attività del nostro sistema limbico, che è l’epicentro delle emozioni ed è strettamente legato allo stress.

La capacità di regolare le emozioni e i pensieri è segno di maturità: durante la meditazione, quando aumentiamo la concentrazione siamo meno soggetti alle emozioni: il sistema nervoso parasimpatico che stava inviando segnali di stress e di aggressività, viene automaticamente disattivato. Infatti, siamo spesso confusi e soggetti ad una reattività automatica della nostra mente e del nostro corpo: questo e il tono dell’umore sono buoni indicatori di come stiamo gestendo stress, lavoro e tecnologia.

L’ipotalamo non è più sopraffatto da segnali provenienti dal sistema nervoso simpatico e può far valere la sua naturale capacità omeostatica equilibratrice del sonno, dell’appetito e una vigilanza rilassante, che spiega come mai queste funzioni di base del nostro corpo e della nostra mente vengano ritemprate durante la meditazione.

Stress, lavoro e tecnologia…e rispetto alle richieste digitali noi dobbiamo mettere in campo autonomia, professionalità, capacità complesse e competenze multidisciplinari.

Nel vortice del technostress per esempio abbiamo il manifestarsi della distorsione cognitiva dell’eccesso di fiducia: la persona crede di sapere più di quanto effettivamente sa. In realtà l’eccesso di fiducia in sé è un meccanismo adattivo allo scopo di generare conforto psicologico in un mondo pieno di insidie. Di conseguenza crediamo e agiamo come se gli effetti del technostress non ci toccassero in maniera tangibile, ma questa è un’altra manifestazione di pura sicumera, che tanto “impazza” nel fenomeno infortunistico.

La meditazione agisce anche in questa direzione, aiuta a sentirci a nostro agio e sicuri senza proclamare con ansia che sappiamo ogni cosa. Anzi, agendo anche sulle relazioni interpersonali e sviluppando di conseguenza inclinazioni pro-sociali e altruistiche, migliora anche aspetti collaborativi che aiutano a prevenire fenomeni quali l’eccesso di fiducia.

La meditazione può quindi guidarci verso una maggiore acutezza di pensiero e chiarezza di idee, una riduzione dei disordini emozionali, un miglior ascolto di sé e degli altri.

È bene ricordare però che, come ogni attività che si decide di intraprendere, anche la meditazione richiede una pratica continua: i benefici non si ottengono praticandola una tantum, ma solo attraverso un esercizio continuo e duraturo nel tempo.

Le modalità e i tempi di svolgimento invece non sono standardizzati, ma dipendono dal tipo di meditazione che si intende eseguire. Esistono, infatti, diversi tipi di meditazione che vengono praticati in tutto il mondo. Ognuna di esse segue una propria logica ed ha regole precise rispetto alle modalità e ai tempi. Tutte però, mirano allo stesso obiettivo: il benessere dell’individuo.

Si tratta solo di capire quale sia la più adatta a noi.

Massimo Servadio

Psicoterapeuta e Psicologo del Lavoro e delle Organizzazioni, Esperto in Psicologia della Salute Organizzativa e Psicologia della Sicurezza lavorativa 

Bibliografia

Technostress: un’analisi tecnica del fenomeno, M.Servadio, Punto Sicuro, giugno 2018

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